Scritto da Lorenzo Locatelli il 1 giugno 2011 ·
Un seminarista della Fraternità San Carlo racconta la propria vocazione, nata con Wojtyła alla Giornata mondiale della gioventù del 2000.
È il 19 agosto 2000. Sono circa 48 ore che non chiudo occhio. Ieri notte ero alla fermata del treno di Tor Vergata con gli altri del servizio d’ordine. Poi tutto il giorno sotto il sole più caldo che Roma abbia mai visto, aspettando con ansia l’ennesima gita all’idrante più vicino in cerca di un po’ di refrigerio. Il coro sta cantando ancora una volta Emmanuel, l’inno di questa XV Giornata mondiale della gioventù.
Finalmente il sole tramonta. Un elicottero atterra in lontananza. È il Papa. La veglia di preghiera più faticosa della mia vita è iniziata.
Comincio a lottare contro il sonno e subito mi viene in aiuto un fortissimo mal di testa. Concentro le energie contro la distrazione. Giovanni Paolo II sembra in ottima forma. Abitando a Roma le occasioni di sentirlo parlare sono state tante. Ricordo quella volta… che anno era? Il 1998 in piazza San Pietro all’incontro con i movimenti ecclesiali. È stato quello l’anno in cui ho incontrato don Sergio… Don Sergio! Lui sì che si gode la vita! Lui e i suoi della San Carlo… Ecco, di nuovo quel pensiero. Mi sono distratto un’altra volta. Il Papa se ne va.
Cerco insieme agli altri un posto dove stendere il sacco a pelo. Passo la notte riflettendo sul fenomeno dell’escursione termica e, quando constato l’ormai irreversibile congelamento dei miei piedi, milioni di watt proprio sopra la mia testa annunciano il buon giorno con un nuovo canto: Emmanuel!
Comincia la messa, il Papa è di nuovo tra noi. Inspiegabilmente, sarà la lieve brezza mattutina, riesco a stare attento e vengo letteralmente rapito dalle sue parole: «Se qualcuno di voi, cari ragazzi e ragazze, avverte in sé la chiamata del Signore a donarsi totalmente a Lui per amarlo con cuore indiviso, non si lasci frenare dal dubbio o dalla paura». Improvvisamente i due milioni di ragazzi attorno a me scompaiono. Mi sembra di essere rimasto da solo davanti a Giovanni Paolo II. E ancora di più: io davanti a Dio. Di colpo sono messo di fronte a quel pensiero che da un po’ di tempo cercavo di scacciare in tutti i modi. La paura però mi assale. Ma subito: «Dica con coraggio il proprio sì senza riserve, fidandosi di Lui che è fedele in ogni sua promessa. Non ha Egli forse assicurato, a chi ha lasciato tutto per Lui, il centuplo quaggiù e la vita eterna?».
Una dopo l’altra crollano tutte le mie difese, i miei dubbi, le mie paure. E con le lacrime agli occhi desidero con tutto me stesso abbandonarmi a quell’Amore infinito che mi sta chiamando. Sì.
Non credo che il Papa abbia potuto sentire quel mio sì appena sussurrato, ma sono certo che ora lo accompagna fino al suo compimento.
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