Scritto da Massimo Camisasca il 22 giugno 2011
Nella sua più profonda origine la comunione che viviamo tra noi è il rapporto tra il Padre e il Figlio. L’amicizia che io vivo con voi mi fa entrare dentro tale rapporto. Ma qual è il contenuto del dialogo tra il Padre e il Figlio? Qual è il contenuto del nostro dialogo? Tra il Padre e il Figlio c’è l’universo, e l’universo degli universi. Nel loro sguardo reciproco, nel loro parlarsi, nel loro accogliersi, c’è ogni fiore, ogni foglia, ogni battito del cuore umano, ogni stella lontanissima.
La comunione è contraddetta perciò dalle chiusure, dalle staccionate, dal ripiegarci su noi stessi, quando il contenuto del nostro rapporto diventa soltanto l’immagine di me riflesso nell’altro.
Gesù ha voluto con la sua morte in croce partecipare dell’ultima estrema lontananza dell’uomo. Nel suo rapporto con il Padre, era inscritto il più lontano dei lontani: nella Croce lo ha reso vicino.
Nella nostra comunione è già inscritta l’estrema distanza siderale della persona più lontana. Se non è questo il sentimento che domina la nostra amicizia, non viviamo la comunione cristiana.
Don Giussani ci ricordava mons. Galbiati, suo insegnante a Venegono, uomo di immensa cultura biblica e di un profondo senso dello humour. Un giorno l’aveva portato sulla grande terrazza del seminario di Venegono, da cui si vede tutta la cerchia della montagne, dal Monviso al Monterosa. Egli aveva detto: «Ecco, vedi? Queste montagne sono tutte mie, ma io te le regalo».
La comunione è la scoperta che ha fatto a un certo punto san Paolo, quando ha detto Tutto è vostro, se voi siete di Cristo come Cristo è di Dio (cfr. 1Cor 3,22). La missione non è qualcosa che si aggiunge dal di fuori alla nostra comunione. È il suo esplicitarsi. Già fin dall’inizio in essa sono compresi tutti i volti che poi, a poco a poco, nel corso della storia della mia vita io scoprirò. La Chiesa, dicevano i teologi medievali, comincia con Abele. La missione fa venire a galla il destino dell’origine, che è anche il destino della fine. Essa consiste nel grido: Vieni Signore Gesù (Ap 22,20). È il desiderio che esploda e si manifesti l’infinito che è contenuto in ciò che mi lega a voi.
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