lunedì 20 giugno 2011

BISOGNA USCIRE DALLA SACRESTIE. MA COME?

19 giugno 2011

Qui lo spiego partendo da un pensiero di Dostoevskij e da uno di S. Agostino. Per arrivare al grande cardinale Newman che afferma: “La Chiesa E’ necessariamente un partito”. Se non capiamo questo …





“I cattolici sono stati determinanti” nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica?



O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?



Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’ impegno per il bene comune.



Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente “ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica”.



Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico.



Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori.



Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?



CHE FARE?



Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti?



O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?



Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.



Ornaghi invita i cattolici a “tornare ad essere con decisione ‘guelfi’ ”, spiegando: “abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente ‘cattoliche’ ”.



Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che “rispetto ad altre ‘identità’ culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati”.



Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.



Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è.



Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. E’ su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche.



IL CUORE DI TUTTO



Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij:



“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”.



Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze.



Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche – di per sé – un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.



A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale:



“Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona”.



Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo – per i cristiani – è la Messa.



Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberando gli uomini.



Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No.



Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo.



Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.



“LA CHIESA E’ UN PARTITO”



Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito:



“Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito.



Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi.



Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo.



Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche”.



E’ tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).



Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi).



C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici.



Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.



Ancora Newman scriveva:



“Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove.



E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo.



I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini.



E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”.



IL PROBLEMA



La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti.



Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa.



Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.

Antonio Socci

Da “Libero”, 19 giugno 2011

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