Un'overdose di retorica spezzata dalla semplicità di un papà e una mamma
Luigi Ballerini
mercoledì 26 ottobre 2011
Da: il sussidiario.net
Colpisce la compostezza del dolore dei genitori di Simoncelli di fronte alla terribile vicenda che li ha colpiti. Dopo l’accanimento mediatico in rete e in televisione, dove lo sproloquio ha fatto da padrone, ci hanno davvero sorpresi.
“Noi lo abbiamo accompagnato solo in quello che gli piaceva fare. La vita se non facciamo quello che ci piace diventa un rimpianto e lui sicuramente di rimpianti non ne avrà. Ci ha lasciato un bel ricordo e un bel messaggio e noi siamo fieri che sia stato così”, ha dichiarato Rossella, madre di Marco, a Matrix.
Da parte sua, il padre Paolo si è invece aperto ai microfoni di Sky, sempre con toni sinceri e toccanti, come raramente si sentono in circostanze come queste. Nessuna retorica, nessuna negazione.
Della sua intervista colpiscono in particolare alcune frasi. Quel “io gli volevo bene e lui me ne voleva”, testimonia la semplicità di una affettuosa reciprocità. Ne ravvisiamo tutta la quotidianità di un rapporto solido, fatta di attimi apparentemente banali, e invece preziosi.
“Se dico di essere felice, dico una stronzata, però mi fa piacere...” continua parlando della moltitudine di persone che si è stretta a loro e di cui si sorprende, quasi stordito dall’affetto dimostrato da moltissimi sconosciuti.
E soprattutto non assistiamo a nessuna negazione del dolore. L’espressione “domani sera alla fine del funerale saremo soli e sarà terribile” non lascia spazio a posizioni falsamente consolatorie, racconta piuttosto di un dolore, composto ma bruciante, che richiederà un lavoro di elaborazione per arrivare al suo compimento.
Un uomo semplice Paolo, fino umile, che ci commuove e ci spiazza per la sua semplicità quando ringrazia per il viaggio in business class offerto loro dalle linee aeree malesi, quasi che non fosse dovuto. Uno sguardo che riesce a notare anche i dettagli più irrilevanti di questa vicenda, come se non bisognasse tagliarne via nemmeno un pezzettino.
Abbiamo molto da imparare da questi genitori; proprio loro che ci immaginavamo bisognosi del nostro aiuto, inaspettatamente diventano una testimonianza per noi, una risorsa per prendere anche le distanze dall’emotività collettiva che ha colpito inesorabilmente dopo questa nuova morte mediatica. Poco fa Steve e adesso Sic. Su Facebook la foto di molti profili fino a poche settimane fa occupati dall’americano col maglioncino nero e lo sguardo profondo è stata prontamente sostituita da quella più colorata di un simpatico capellone. Il web si è riempito di frasi fatte, puramente emozionali, perfette per i Baci Perugina, se non ci fosse di mezzo la morte di un ragazzo. Così abbiamo letto che correre a trecento all’ora sarebbe un modo per vivere più intensamente il reale e che adesso Marco dovrebbe insegnare agli angeli come impennarsi. Basterebbe pensare solo un pochino al senso delle parole per rifiutarsi di cascare nel trappolone del primato delle emozioni senza giudizio.
Ciao Sic. Si leggeva ovunque su Facebook. Eppure l’unico titolato a pronunciare questo saluto, con struggimento e non con la leggerezza di un sussulto, è stato proprio il padre Paolo. “Ciao, buon viaggio”, sono state le sue parole nel momento in cui si è accorto, ossia subito, che il figlio era morto. E sono state piene perché sussurrate dentro un rapporto che pre-esisteva e che persisteva, sebbene nel presentimento di una forma completamente diversa. Sussurrate prendendogli la mano e non buttate nella rete per una sorta di contagio virale.
Ma questi genitori sono da imitare anche nello sguardo d’orgoglio verso il figlio. “Lo abbiamo accompagnato solo in quello che gli piaceva fare”, parole che ci fanno quasi scandalo nella bocca di quella madre. Ci viene da pensare che se avesse lavorato in uno studio dentistico o legale sarebbe ancora vivo, che forse è stato un errore assecondare il suo desiderio che l’ha portato alla morte. Ma la tentazione è solo nostra, che parliamo in astratto, per statistica e casistica; non di mamma Rossella che si è goduta lo spettacolo non di un figlio campione, ma di un figlio soddisfatto, appassionato di ciò che aveva scelto.
“Marco era un grande”, ha ripetuto più volte commosso il padre. E possiamo ben immaginare che non lo dica solo ora ai giornalisti, ma che l’abbia detto a voce e con lo sguardo più volte a suo figlio. E anche qui, grande innanzitutto non perché capace di guidare una moto come nessun altro sapeva fare, ma per la sua onestà, la sincerità e la generosità; doti dichiarate oggi e riconosciute da sempre.
La certezza di essere un grande per il proprio padre e la propria madre è proprio il fattore che più di ogni altro permette a un figlio di crescere forte e libero. Non siamo allora avari di apprezzamenti sinceri, diciamo ai nostri bambini e ai nostri ragazzi che li stimiamo, che siamo orgogliosi di loro. Finché siamo con loro accompagniamoli nella vita rendendoli certi e consapevoli del loro valore e della loro grandezza. Conosceranno meglio i loro desideri e diventeranno spettacolo ai nostri occhi. Grazie ai coniugi Simoncelli che ce l’hanno testimoniato con tale intensità.
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