16 ottobre 2011
Il Corriere della sera è stato folgorato sulla via di Bagnasco? O è il salotto radicalbancario milanese che sta provando ad annettersi il mondo cattolico in vista del riassetto dei poteri post-berlusconiano?
Partiamo da due fatti singolari.
Primo. Lo spropositato rilievo che il giornale di via Solferino sta dando al gruppetto che si riunirà a Todi lunedì 17 ottobre. Secondo: il fatto che a “catechizzare” i cattolici di Todi siano stati chiamati proprio il direttore del “Corriere” Ferruccio de Bortoli e il primo editorialista Ernesto Galli della Loggia.
Conosco entrambi e li stimo, sono persone intelligenti, ma appartengono a un’altra storia. Come se non bastasse è stato invitato ad intervenire pure Corrado Passera, di Banca Intesa, che del “Corriere” è editore.
Con tutto il rispetto: che “c’azzeccano” col mondo cattolico? Sono diventati i nuovi “dottori della Chiesa” oppure ciò che sta accadendo a Todi è il segno del ritorno alla subalternità culturale dei cattolici?
Sarebbe una subalternità (ai salotti corriereschi) analoga a quella che negli anni Settanta i caporali cattolici ebbero verso la Sinistra marxista, che solo il travolgente pontificato di papa Wojtyla, insieme a pochi movimenti cattolici, poté spazzare via.
L’ipotesi della subalternità spiega perché il “Corriere” da giorni dedica paginate su paginate all’ “evento” Todi a cui partecipano 110 persone in tutto. Anche ieri due intere pagine, dicasi due! Che si aggiungono alle paginate delle settimane scorse. Mai visto nulla di simile.
Perché il “Corriere” di norma se ne infischia della cristianità e della fede, spesso le avversa, perfino quando muovono due milioni di giovani all’incontro col Papa o quando si portano dietro – convincendolo – il 75 per cento dell’elettorato italiano (come accadde nel referendum del 2005) o quando riempiono la capitale col “family day”.
Il “Corriere” è un quotidiano marcatamente laicista. Ci scrive anche un intellettuale ufficialmente cattolico (per così dire ratzingeriano), Vittorio Messori. Ma è pressoché un’eccezione.
E questo fa riflettere visto che in Italia si definisce “cattolico” più del 90 per cento della popolazione e i “non credenti” sono dimezzati dal 12 al 6 per cento fra il 1980 e il 2000 (vedi Loredana Sciolla, “La sfida dei valori”, Il Mulino).
Negli ultimi mesi se non erro il cattolico Messori ha firmato un solo articolo in prima pagina: sulla necessità di tornare al “lei” e al “voi” al posto del “tu”.
Questione effettivamente di scottante attualità sia per la Chiesa che per il mondo, specialmente in mesi come questi in cui sta scoppiando tutto.
Con ciò si capisce qual è di norma l’attenzione del “Corriere” al pensiero cattolico e al popolo cattolico.
In compenso lo stesso “Corriere” si è trasformato in giornale militante, con una sola voce monolitica, nelle battaglie radicali che avevano come avversari i cattolici, a cominciare dal referendum sulla legge 40.
Ultimamente ha perfino sparato in prima pagina un’articolessa che sposava la tesi dei radicali sul presunto “regime fiscale agevolato” della Chiesa, sostenendo che la stessa Chiesa dovrebbe fare una “rinuncia unilaterale” di tali supposti privilegi.
D’altra parte guardando bene nei contenuti lo spropositato spazio del Corriere ai convegnisti di Todi si scorge facilmente la pretesa egemonica (definire cioè da via Solferino chi sono i cattolici e cosa devono pensare).
Ieri – per esempio – un articolo di quelle due pagine presentava come intellettuale cattolico Vito Mancuso.
Sarebbe come se avesse presentato Marco Pannella in qualità di teologo cattolico. O Fausto Bertinotti come simbolo del pensiero liberista e Antonio Martino come intellettuale marxista.
Poi c’era un articolo di aria fritta firmato da Natale Forlani che è addirittura il portavoce di Todi. Chi è questo Carneade? Viene dalla terza fila del sindacato.
Io non ricordo di averlo mai visto nel mondo cattolico, specialmente in trincea. Come sia diventato “generale cattolico” è un mistero.
Appartiene a quel mondo Cisl che non ha mai speso una parola per le battaglie cattoliche (a differenza della Cgil che ci combatteva contro). Come Raffaele Bonanni che tirerà le fila del convegno di Todi: sindacalisti che pretendono ancora di mandare la gente in pensione a 58 anni.
Sarebbero loro il futuro dell’Italia o rappresentano il più disastroso dei passati? Molto meglio Savino Pezzotta che almeno ha una sua storia cattolica.
Un altro Carneade, lontano dalle battaglie dove fischiano le pallottole, è l’altro nome interpellato dal Corriere, lo storico Agostino Giovagnoli, studioso del “modernismo” d’inizio Novecento che giudica un movimento di rinnovamento della Chiesa, quando il santo papa Pio X lo definì “la sintesi di tutte le eresie”.
Entrambi sul “Corriere” hanno definito la presenza dei cattolici negli ultimi vent’anni come “marginale” e “senza incisività”. Ma probabilmente sono solo definizioni autobiografiche, perché il mondo cattolico guidato dal cardinal Ruini invece è stato incisivo e centrale come neanche all’epoca della Dc.
Forse perfino troppo.
E lo sanno bene proprio lorsignori del “Corriere” che nel 2005 capeggiavano il partito del referendum sulla legge 40 e che furono letteralmente stracciati dal mondo cattolico guidato da Ruini. Perché solo questo mondo combatté quella battaglia, con alcuni laici illuminati, e convinse il 75 per cento degli elettori.
Un evento storico che – 25 anni dopo i referendum su divorzio e aborto, (grazie a un pontificato come quello wojtyliano, grazie ai movimenti e al cardinal Ruini) – ribaltava il paradigma sociologico della scristianizzazione del Paese.
Ma un evento storico che il “Corriere”, incassata la disfatta, ha del tutto rimosso, evitando di rifletterci e di riconoscere che non aveva capito l’evoluzione del Paese.
Io che non sono mai stato della cerchia di Ruini e che ho sempre avuto delle riserve sul protagonismo politico della gerarchia, trovo sconcertante che non si riconosca l’eccezionale peso che grazie a Ruini le istanze cattoliche hanno avuto in questi ultimi anni (penso anche alla legge sulle Dat, su cui Bagnasco ha saggiamente tenuto la rotta giusta).
Non mi stupisce che sia il “Corriere” (essendo stato battuto da Ruini) a teorizzare la marginalità dei cattolici, mi stupisce che siano i promotori di Todi e che la loro tesi sia ripresa e rilanciata (è accaduto ieri, proprio con Forlani) perfino sulla prima pagina di “Avvenire” che del ruinismo – al tempo di Dino Boffo, mente politica illuminata dalla fede – è stato il vittorioso vessillo.
Così come mi stupisce che i “valori non negoziabili” siano praticamente spariti di colpo dall’orizzonte della Cei e di Todi, dopo aver avuto l’esclusiva per quindici anni.
Si può benissimo decidere che oggi le priorità sono altre, più generali, ma si ha il dovere di dirlo chiaramente e di motivarlo con un giudizio che abbia una seria dignità culturale e indichi una diversa prospettiva politica.
Altrimenti si dà l’impressione di archiviare il ruinismo con superficiale tatticismo, cercando solo nuove sponde di potere e un personale protagonismo in politica.
In realtà, come ha spiegato monsignor Negri, la vera urgenza per i cattolici oggi è culturale e sociale, non politica. E il sacrosanto appello di Bagnasco e del Papa al laicato cattolico meriterebbe una risposta di popolo, una fioritura di cultura e di opere sociali.
Invece abbiamo l’assoluta anomalia di un simposio a porte chiuse, riservato a 110 persone, quasi fosse una setta, una conventicola di carbonari. Numero chiuso e a porte chiuse: se lo scopo era quello di aprirsi al futuro…
A Todi non si vedono statisti come De Gasperi, né intellettuali come Del Noce, Sturzo, La Pira o Dossetti, né organizzatori come Gedda e Fanfani o leader come Mattei. Non c’è il popolo cristiano e non ci sono i santi. Però c’è il Corriere.
Dice un folgorante aforisma di Stanislaw Lec: “In principio era il Verbo, alla fine le chiacchiere”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 16 ottobre 2011
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