Massimo Camisasca La tragedia del terremoto che ha recentemente colpito il Giappone ancor’oggi interroga gran parte dell’opinione pubblica. Si è trattato di un evento naturale. Non possiamo e non dobbiamo perciò rintracciare le cause di esso in un’esplicita opera dell’uomo. Non
dobbiamo neppure chiuderci in una logica antica, per cui si vede nel male accaduto una punizione divina diretta a coloro che sono morti (ho già parlato di questo nel precedente articolo). Ma di fronte alle gravi conseguenze a cui abbiamo assistito, alla messa in discussione delle misure di sicurezza di alcune centrali nucleari, alle contaminazioni di cibi e acque, tutti fatti che coinvolgono la responsabilità degli uomini, non possiamo esimerci da una riflessione profonda.
Non intendo analizzare i rischi legati alla costruzione delle centrali, perché non sono un esperto. Non posso però evitare di chiedermi: l’uomo non sta presumendo troppo da se stesso?
L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande hanno da sempre affascinato l’umanità, sono stati l’oggetto del suo interesse indagatore, della sua fantasia e libertà costruttiva. Eppure, come la scoperta di mondi nuovi e lontani è costata innumerevoli vite tra gli esploratori, così la ricerca nel mondo dell’infinitamente piccolo sta mettendo a repentaglio le vite di migliaia di persone. L’enorme progresso della scienza e la sua continua specializzazione stanno lentamente convincendo l’uomo di poter controllare non solo la natura che lo circonda, ma la sua stessa esistenza.
Spesso la scienza viene strumentalizzata da motivazioni che esulano dalle sue competenze, dal convincimento che il progresso ci porterà a poter decidere del nostro destino, fino al punto che sono in molti a pensare: “siccome si può fare, allora va fatto”. Questa convinzione porterà a un aumento o a una diminuzione di felicità dell’uomo? I bisogni sempre nuovi che la corsa a fonti di energia alternative mette in luce, sono tutti essenziali? Cos’è veramente essenziale all’uomo?
Ognuno di noi è fatto per la felicità, ma non può arbitrariamente decidere come raggiungerla. Abbiamo bisogno che la conoscenza applicata al fare, la scienza applicata alle tecnologie, sia sempre più guidata, ordinata da una oculata e sincera considerazione del bene dell’uomo, invece che da interessi secondari.
Di una cosa sono assolutamente sicuro: quel che sta succedendo in Giappone è totalmente compreso nel mistero di Dio. Il protagonista della storia è Dio. Ma se Lui è il Sommo Bene, se vuole il bene dei suoi figli, perché permette il male? È la domanda a cui ho cercato di rispondere la scorsa settimana, ma ci terrei ad aggiungere qualche parola.
Dio ha voluto e vuole il bene, ha voluto e vuole la luce per l’uomo, perché Egli ama ciò che ha fatto. Non ci ha creato per la morte, non c’è invidia in Lui. Uno sguardo realistico sulla condizione dell’uomo ci porta l’immagine di una creatura che ha rifiutato e continua a rifiutare la luce di Dio. Non ha accettato di essere il secondo protagonista, non ha accettato di dipendere. È ciò che la Chiesa chiama “peccato originale”, senza del quale non solo la storia del mondo, ma quella di ognuno di noi risulta incomprensibile.
L’espressione “peccato originale” ci parla della nostra nativa fragilità. Ogni azione che l’uomo pone mette in luce un’ambiguità: “voglio il bene, ma faccio il male”. La scoperta di questa contraddizione ci costringe a riconoscere la necessità dell’aiuto di Dio e del suo perdono.
La storia è il teatro della lotta fra Dio e il demonio e questa lotta si combatte nel cuore di ciascuno. Se non si parte da qui tutto è ipocrisia. L’esperienza del proprio male riconosciuto e quindi del perdono accolto - perché non si può fare l’esperienza del perdono se prima non si riconosce di aver sbagliato - sgretola le nostre piccole misure per divenire l’alba di qualcosa di nuovo sopra le rovine.
"Il Sussidiario"
martedì 29 marzo 2011
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