Da oggi il sud del Sudan è finalmente uno stato libero e indipendente (se non verrà strozzato nella culla).
Lì è stato perpetrato l’ultimo genocidio del Novecento, ma un genocidio ignorato dai media e dal “partito umanitario” nostrano. Forse perché le vittime non erano “politically correct”, trattandosi di neri cristiani e animisti.
Autore di quell’orrore è stato il regime arabo- musulmano del nord che ospitò negli anni novanta anche Osama bin Laden e che, da qualche anno, è in combutta con la Cina comunista interessata al petrolio sudanese.
I media si sono occupati del Sudan solo di recente, quando è scoppiata l’emergenza Darfur, che derivava da un conflitto non religioso (erano tutti musulmani).
Invece per la Jihad – la guerra santa islamica – che per decenni ha sterminato il Sud cristiano e animista non hanno avuto tempo.
Eppure le cifre sono terrificanti: due milioni di vittime, tre milioni di profughi, migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi nel Nord islamico del Paese.
Il regime di Karthoum ha fatto del Sudan – che sarebbe ricchissimo di petrolio e altre risorse – uno dei paesi più poveri della terra (è al 150° posto su 182), un paese dove si vive ancora in capanne di fango, seminudi e si muore come mosche per fame e malaria. Per questo molti fuggono, cercando di arrivare all’Italia e in Europa.
Siccome scrivo e parlo del genocidio sudanese da quindici anni, su giornali e in tv (prendendomi anche qualche insulto), permettetemi di togliermi un po’ di sassolini dalle scarpe.
Perché il “caso Sudan” è un’occasione preziosa per riflettere sulla famosa coscienza “umanitaria” a intermittenza che caratterizza questa sinistra che ci è toccata in sorte e i nostri media che in gran parte vengono culturalmente da lì.
Piazze urlanti
C’era una volta il Vietnam. Ricordate? E’ stato il mito fondativo della sinistra sessantottina la quale poi ha riempito giornali e tv continuando l’intossicazione ideologica con altre armi.
Quella del Vietnam è stata la madre di tutte le cause umanitarie della sinistra e conteneva tutte le sue contraddizioni e le sue ipocrisie.
Per anni manifestazioni, cortei, assemblee, articolesse, indignazione a senso unico.
Uno dei famosi inviati, Giorgio Bocca, anni dopo, confessò: “feci dei servizi che piacquero alla sinistra italiana: in parte perché raccontavo la verità sulla formidabile guerriglia vietnamita, in parte perché mi autocensuravo”.
Poi spiega: “la mitizzazione della rivolta vietnamita e la demonizzazione degli americani erano giunte a un tale livello che non era possibile raccontare una verità che avesse però il marchio di informazione Usa”.
Non c’era posto per la verità. E questa era la stampa libera e indipendente.
Finalmente i comunisti del Nord conquistarono il Sud Vietnam e iniziarono dittatura e massacri: di colpo nessuno degli indignati più si curò del Vietnam e di quello che stava capitando ai vietnamiti “liberati” dai comunisti di Ho Chi Min.
Migliaia di quei poveri vietnamiti – a cui avevamo imposto di subire la conquista comunista – fuggirono dal “paradiso marxista” su barche di fortuna. Molti annegarono, altri furono divorati dagli squali. Alcuni furono soccorsi. E cosa dicevano i compagni italiani di quei “boat people”?
Rossi di vergogna
Posso testimoniarlo in prima persona. A quel tempo frequentavo il liceo a Siena.
Collaboravo con la Caritas per organizzare l’ospitalità in Italia per quei profughi che riuscirono ad arrivare vivi e ricordo bene che distribuendo i volantini in piazza a Siena ci prendevamo gli insulti dei compagni che chiamavano quei profughi “fascisti e reazionari”.
Essendo in fuga dal comunismo, agli occhi loro quei profughi non erano da considerare come oggi consideriamo quelli che arrivano con i barconi a Lampedusa.
Questa era la coscienza umanitaria della sinistra. Che in questi mesi, peraltro, vede i profughi e ne reclama l’accoglienza, ma non vede le cause della loro fuga: per esempio quell’orrida guerra contro la Libia tanto voluta dal compagno-presidente Napolitano.
Anche in questo caso la coscienza umanitaria e pacifista dei compagni è andata in vacanza (bombardiamo pure Tripoli, il pacifismo pensa all’abbronzatura).
Errori e orrori
Torno al Vietnam. L’altro mito gemello del ‘68 fu la Cambogia. Anche quella doveva essere “liberata” dall’okkupazione americana. “I Khmer rossi ci sembravano l’unica via d’uscita dall’incubo della guerra”, scriverà anni dopo Tiziano Terzani in un famoso articolo su “Repubblica” intitolato “Pol Pot, tu non mi piaci più”.
Questo articolo di revisione uscì nel 1985 e ormai già si sapeva tutto del genocidio di due milioni di cambogiani innocenti perpetrato dai Khmer rossi.
Quello che il “grande inviato” avrebbe dovuto fare e non fece era raccontare prima, quando era sul posto, mentre accadevano i fatti, la mostruosità sanguinaria dei guerriglieri comunisti.
Ma sebbene abbia visto, non credette a quei “massacri comunisti”. Sospettò che fossero manipolazioni della Cia. E oggi viene celebrato dal pensiero conformista come un grande giornalista testimone delle atrocità del Novecento.
Chi invece, come il missionario padre Gheddo, denunciò le stragi comuniste in Indocina mentre accadevano, negli anni Settanta, si prese del “reazionario” e “finanziato dalla Cia”. “Nessuno mi credette”, ricorda. E nessuno poi gli ha riconosciuto il coraggio della verità, né ha chiesto scusa.
Nei decenni successivi la “sinistra umanitaria” ha continuato ad alimentare le sue mitologie, sebbene più in sordina. Ma sempre con un’accurata selezione ideologica.
Contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan dei primi anni Ottanta – per esempio – non fiatarono (a quel tempo scendevano in piazza per protestare contro gli euromissili americani, risposta a quelli sovietici).
Ma contro la guerra di Bush all’Afghanistan dei talebani e di Bin Laden hanno scatenato il finimondo (ovviamente senza mai chiedere il parere delle donne afghane).
Contro la Cina che massacrava gli studenti in piazza Tien an men nessuna manifestazione, né indignazione di massa. Così pure sull’oppressione del Tibet. Silenzio anche sui lager cinesi tuttora funzionanti.
Invece è divampata la polemica su Guantanamo e, da anni, la protesta contro Israele che sarebbe reo di opprimere i palestinesi.
Gli “umanitari” indignati infine hanno protestato per anni contro gli Stati Uniti rei di aver posto l’embargo a Cuba (ovviamente senza denunciare la schifosa dittatura comunista di Fidel Castro).
Perciò, con tutte queste “cause umanitarie” che permettevano loro di sentirsi buoni e puri, denunciando come oppressori Stati Uniti e Israele, gli umanitari progressisti di casa nostra non ebbero tempo di accorgersi del genocidio sudanese, cioè della “più lunga guerra del ‘900” (dal 1956 al 2005) nel paese più grande dell’Africa.
Erano tutti distratti e così in Italia nessuno sa qualcosa di quel genocidio che è stato definito dall’africanista Giampaolo Calchi Novati “la più dura operazione di islamizzazione forzata del ‘900”.
Solo la voce della Chiesa
L’unica voce, inerme e martire, come al solito, è stata quella della Chiesa, una “Chiesa crocifissa”, come l’ha definita Giovanni Paolo II.
Una Chiesa che ha il volto del grande vescovo missionario monsignor Mazzolari, che “comprende in sé una capacità di denuncia del male unita a un’indomita fantasia di bene che ha costruito scuole, ospedali, missioni, chiese, dispensari, vite future di ragazzi un tempo schiavi e poi laureatisi a Oxford”, come scrive Lorenzo Fazzini nel bel libro “Un Vangelo per l’Africa”, dedicato a Mazzolari e al Sudan.
Il cristianesimo è arrivato nei regni nubiani addirittura nel VI secolo. Poi ha portato libertà e dignità umana in Sudan, nell’Ottocento, con un grande santo, padre Comboni.
Oggi la Chiesa accompagna questo popolo alla libertà e all’indipendenza. Il cristianesimo si conferma come culla di umanità e come l’unica vera forza liberazione dei popoli. Mentre i nostri intellettuali gli riservano (oggi come ieri) parole sprezzanti…
Antonio Socci
Da “Libero”, 10 luglio 2011
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