martedì 6 marzo 2012

Phnom Penh, 2 Febbraio 2012

Lettera di Padre Mario Ghezzi

Mentre mi accingo a scrivere mi accorgo che sono passate quasi 72 ore dalla morte di Saet; ci ha lasciato martedí scorso alle 21.23, ora sono le 21.09.

Saet, 22 anni, alto e bello come il sole dice chi lo ha conosciuto da sano, é arrivato al nostro centro per ammalati a metá Dicembre, aveva l’occhio sinistro tumefatto, era giá stato in Vietnam ed aveva giá ricevuto la diagnosi fatale: cancro al cervello. Tornó a casa senza sapere che fare, intanto il dolore si faceva sempre
piú forte assieme al desiderio di farla finita. Prima di ammalarsi era arrivato a Phnom Penh pieno di speranze, era intelligente Saet e aveva vinto una borsa di studio per un corso di laurea in matematica, una settimana all’universitá e poi i sogni cominciano a infrangersi; il primo segnale: un banale mal di testa.

La sua storia é simile a quella di tanti altri giovani cambogiani poveri, arrivato alla fine delle scuole medie abbandona gli studi perché la madre vedova non poteva permettersi di mandarlo a scuola. Cosí Saet diventa pastore e contadino per tre anni. Un giorno un amico gli dice che a Prey Veng c’é un liceo nuovo dove aiutano i ragazzi poveri; é il liceo che padre Alberto Caccaro aveva appena aperto. Cosí per Saet ricomincia il sogno di poter di nuovo tornare a scuola. Grazie alla conoscenza di padre Alberto Saet verrá condotto al nostro centro per ammalati, altrimenti sarebbe morto senza assistenza medica di alcun tipo e senza l’aiuto della terapia del dolore. Alberto lo mette in contatto con Paola e Saet arriva leggero come un angelo, malato e dolorante ma sempre un angelo.

Le sue condizioni precipitano in fretta, il dolore si fa sempre piú forte, ma il dolore e la consapevolezza della morte inevitabile aprono nel suo cuore la breccia delle domande, quelle vere e che sono inevitabili, che sono solo sopibili nell’arco della vita, ma con cui poi ognuno deve fare i conti. Saet, buddista di tradizione, decide di partire da questa richiesta a padre Gustavo: fammi conoscere Gesú. E Gustavo timidamente comincia a leggergli il Vangelo di Marco. Il 31 Dicembre 2011 all’una del pomeriggio chiama padre Gustavo e gli dice: padre vieni a prendermi perché oggi ho un po’di forze e voglio vedere la vostra chiesa. Io transito e vedo dalle finestre Gustavo che spinge Saet sulla carrozzina, entro in chiesa, non ci conoscevamo ancora bene io e Saet, e subito mi dice: voglio essere battezzato adesso perché non so se domani ci saró ancora. Ovviamente lo dissuadiamo da questo pensiero anche perché non era veritiero e lo convinciamo ad attendere l’indomani. Il pomeriggio del 1 Gennaio 2012 Saet viene battezzatto e cresimato. E qui ricomincia la vita! Il pensiero di farla finita lo aveva giá abbandonato; usava dire: padre, quando ho saputo di avere un cancro ho pensato al suicidio, ma poi sono arrivato qui ed ho scoperto un amore cosí grande che non avrei mai immaginato potesse esistere: Paola, voi padri, i ragazzi della parrocchia che venite a trovarmi ogni giorno e poi, soprattutto, ho conosciuto Gesú.

A questo punto delle cose Saet aveva giá perso l’uso di entrambi gli occhi perché il cancro si stava espandendo dove trovava spazio: occhi e naso. Cieco, con il naso completamente chiuso dal cancro Saet diceva: padre, io ho una gioia grandissima nel cuore, una gioia che non ho mai conosciuto prima, che bello padre aver conosciuto voi e Gesú. Anche se staremo insieme per poco tempo non dimenticheró mai il tesoro prezioso che ho scoperto qui. Grazie padre! E queste parole le ripeteva continuamente anche a Gustavo e a Paola. E a me veniva da dire: ma che c’é da essere contenti? Hai 22 anni, tra qualche settimana morirai, e lo sai, non ci vedi piú, il naso é fuori uso, hai dei mal di testa che ti spaccano al testa in due e tu dici di essere contento? Eppure ogni sera dopo la messa delle 18.30 abbandonavo tutte le mie attivitá per passare del tempo con lui, nella speranza che stesse bene e potesse parlare, perché questo tipo di persone non hanno parole da sprecare e possono dire solo cose profondamente sensate e vere. Allora il tempo passato con Saet diventava un’esperienza mistica: parlare, toccare, vedere, ascoltare Gesú. Il suo corpo giovane e sempre piú fragile e magro era un tutt’uno con l’Eucaristia che avevo appena celebrato all’altare; le sue parole diventavano piene di significato come la Parola che avevo appena ascoltato durante la messa. La liturgia proseguiva in una adorazione, a volte silenziosa a volte parlata, del corpo sofferente di Cristo con cui Saet si era identificato subito senza indugio. Baciare le sue mani era baciare quelle di Gesú, baciare il suo volto era baciare quello di Gesú. Gli dicevo: Saet, la tua sofferenza é preziosa perché offerta a Dio diventa uno strumento di purificazione per te ma anche per il mondo intero. Tu, come Gesú, diventi offerta e sacrificio che purifica il mondo. E lui rispondeva sorpreso e contento: ma davvero padre? In cambio dell’offerta del suo dolore Saet ha ricevuto una serenitá e una pace che giá parlavano di paradiso negli ultimi giorni della sua esistenza.

Parlava del giorno della sua morte come della cosa piú normale possibile. Ha chiesto da subito e ha voluto vedere la stupa dove mettiamo le ceneri dei defunti e poi ha cominciato a chiedere circa la vita oltre la morte: il paradiso, la vita in Cristo e la comunione dei Santi, l’eternitá; questi erano i temi delle nostre conversazioni. Era arrivato a dire: non volglio piú dire che moriró, voglio dire che devo rinascere ad una nuova vita con Gesú!



Poi anche le conversazioni sono scomparse quando il cancro ha preso possesso del palato e della bocca. Ha cercato di prendersi tutto, quel maledetto cancro, ma non é riuscito a prendersi il suo cuore, la sua pace e la sua serenitá che ha vissuto come doni speciali di Dio. Quando non c’erano piú parole da dire solo le mani sono rimaste a comunicare affetto e vicinanza, carezze leggere e sincere, le sue mani che chiedevano di intrecciarsi con le nostre, parole sussurrate all’orecchio che dicevano le preghiere che lui non poteva dire e che una stretta della sua mano confermava. Riusciva a dire poche parole ogni tanto e potevi essere certo che avrebbe detto: grazie padre che sei venuto a trovarmi, e un sorriso spuntava sulle sue labbra.



Andavo da Seat ogni sera perché in quella stanza, paradosalmente, circolava un’intesitá di vita pazzesca. Entrare in quella stanza voleva dire uscirne ricaricati e pieni di forza interiore, anche quando il tempo era scorso nel silenzio. É mai possibile che ci sia tanta vita nei pressi della morte? Eppure é stato cosí! Saet ha superato i confini della paura della morte, diceva: padre, non ho paura di morire, so che incontreró Gesú e questo mi basta. La morte non gli faceva paura, chiedeva solo di morire con un sorriso sulle labbra, dignitosamente e senza recare troppo disturbo a sua mamma e a tutti noi. In particolare ha chiesto insistentemente il dono della consolazione del cuore per sua mamma e per suo fratello. E cosa ha detto la mamma nell’istante in cui Saet ha esalato l’ultimo respiro? Grazie padre per come gli avete voluto bene. Ma chi poteva aspettarsi un reazione del genere da parte della mamma?



Quando ancora poteva parlare una sera mi disse: padre ho una cosa da chiederti, quando una persona muore dove mettete la salma? Rispondo: di solito rimane a casa del defunto oppure la mettiamo in una stanza vicino alla chiesa. Dice: ah, non la mettete in chiesa? Dico: no, normalmente no. Saet risponde: padre, quando moriró vorrei riposare una notte intera in chiesa, mi fai questo regalo? Certo Saet, stai tranquillo che sará cosí.



E cosí fú, Saet ci lascia alle 21.23 e dopo 30 minuti é in chiesa davanti alla statua di Maria sdraiato su un lettino e coperto da un lenzuolo bianco. I ragazzi dell’ostello della parrocchia e quelli della comunitá vocazionale si riversano in chiesa a pregare, poi spontanenamente si organizzano per vegliare Saet fino al mattino.



Il giorno dopo all’una del pomeriggio celebriamo il funerale alla presenza dei parenti, amici e compagni di scuola di Saet che sono tutti buddisti. Un silenzio pregnante regna in chiesa, questi “fedeli” hanno occhi e orecchi spalancati, alcuni in sguardi di stupore. Poi si va alla pagoda, l’ultimo sguardo a Saet e poi la cremazione.



É finita una vita terrena ma é cominciata una vita nuova, nel Signore, nella pace, nella beatitudine eterna. Una strana nostalgia mi prende, sicuramente di Saet, ho bisogno di tempo per piangere questa morte come si deve, ma anche forse nostalgia di Dio: perché Saet prima di me? E se volessi venire anch’io? Magari un po’ in fretta!

Carissimi amici, ma vale proprio la pena di avere paura della morte?

p.s. Aggiungo una pagina di diario annotata l’1 Febbraio scorso:

Phnom Penh, 1 Febbraio 2012.

Questa sera a Saet non é rimasto nulla se non la possibilitá del dolore, puro, solo, desolante, lancinate, che non lascia scampo. Solo questo. Non c’é piú spazio per uno sguardo perché gli occhi non li ha piú ormai da molto tempo. Non c’é piú spazio per un dialogo perché la lingua é intorpidita dal dolore e dalla morfina. Non c’é piú spazio per bere insieme il té verde Zenya perché “la bestia” sta invadendo la gola e ha lasciato spazio solo per un po’ d’acqua. Saet dice di avere una fame terribile ma non é piú capace di ingerire nulla di solido... Resta solo una flebile stretta di mano e qualche parola dolce, di consolazione, qualche preghiera sussurrata all’orecchio mentre lui annuisce con un cenno della voce e uno quasi impercettibile del capo.



Eh si, solo il dolore é rimasto a farla da padrone, ma dentro tutto questo dolore é possibile trovare una speranza, un motivo di gioia e di pace? Non so come si senta Saet, posso solo tentare di immaginarlo, ma credo che ogni parola buona e bella che viene sussurrata al suo orecchio sia come una carezza leggera che ti fa sentire qualcuno vicino quando non puoi parlare e non puoi fare piú nulla. Parole che dicono pace, gioia e speranza nonostante tutto perché la speranza, la certezza che Dio sia maledettamente presente in questo dolore, non ha mai abbandonato né noi né Saet.



Saet ha chiesto a sua mamma di farla finita con qualche medicina, ma questo non succederá, la mamma non sará mai capace di farlo. Di certo il dolore di Saet deve essere qualcosa di inimmaginabile. Come é possibile pensare che una massa tumorale informe si moltiplichi nel cranio di una giovane creatura e inizi a riempire tutti gli spazi liberi, occhi, naso, bocca, ora sta arrivando anche alle orecchie, tra poco Saet non sentirá piú nemeno le nostre parole di consolazione....



Solo una cosa: Dio abita questo immenso dolore e lo sta giá purificando.



Chiedo, invoco, imploro il mio Dio, che é il Dio della Croce, abbraccia questo ragazzo, non lasciarlo in preda alla disperazione, accompagnalo istante per istante, comincia a fargli vedere la tua luce.



Ascolta le preghiere di Saet, ed esaudiscile presto, ti supplico mio Signore.

Amen.

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