MICHELE BRAMBILLA
Non si può non restare colpiti dalla differenza tra le parole pronunciate dieci anni fa in Portogallo da Wojtyla e di ieri di Ratzinger.
Giovanni Paolo II identificò di fatto il terzo segreto di Fatima con l’attentato compiuto contro di lui il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro: solo un provvidenziale intervento della Vergine, disse il pontefice, fece deviare la pallottola che avrebbe dovuto essere mortale. Ieri invece papa Ratzinger ha confermato che il terzo segreto riguarda sì le
persecuzioni contro la Chiesa, ma ha aggiunto che «oggi» queste persecuzioni vengono «soprattutto» dai peccati compiuti all’interno della Chiesa. Il riferimento ai casi di pedofilia è apparso evidente quando Benedetto XVI ha spiegato come e perché il perdono e la penitenza «non possono soddisfare la sete di giustizia».
Possiamo dire che ieri il papa ha contraddetto il suo predecessore? O che c’era del vero in quella «dietrologia fatimista» secondo la quale non tutto era stato rivelato, del misterioso messaggio comunicato nel 1917 a suor Lucia? No, non è così. Nel senso che il celeberrimo «terzo segreto» annuncia molte prove per la Chiesa, e in quel «molte» ci stanno le persecuzioni che vengono dall’esterno (e quindi anche l’attentato a Wojtyla), e ci stanno pure i peccati commessi all’interno: anche questo ieri papa Ratzinger lo ha chiarito bene.
Vittorio Messori, che ha nel curriculum un libro scritto con Ratzinger e uno scritto con Wojtyla, commenta: «Se qualcuno dice che Benedetto XVI ha smentito Giovanni Paolo II (e anche se stesso, visto che fu lui, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a diffondere il testo integrale del terzo segreto), si sbaglia. La sua lettura di ieri è perfettamente coerente con il testo che conosciamo e con quello che sta succedendo».
La differenza sta semmai nello stile dei due pontefici, o meglio ancora nell’immagine che ciascuno di noi ha percepito prima dell’uno e poi dell’altro. Lo scorso papato è stato fortemente incentrato sullo straripante carisma di Wojtyla (e sulla sua testimonianza eroica): se dieci anni fa passò il messaggio che il terzo segreto di Fatima riguardava soprattutto lui, fu anche per una sorta di eccessiva personalizzazione del pontificato. Ratzinger ha invece un carattere e un profilo che molto meno si prestano alla costruzione di un’immagine quale quella che è stata costruita sul suo predecessore. E questo lo sappiamo.
Quel che invece non tutti hanno ancora colto è quanto sia fasullo il luogo comune su un Ratzinger «reazionario» e burbero censore. Le sue parole di ieri sono al contrario indice di un comportamento, se ci si passa il termine, «rivoluzionario». È forse la prima volta che un papa pronuncia un «mea culpa» sulla propria Chiesa: quella di oggi, non quella del passato. Al tempo stesso, sul tema della pedofilia Ratzinger spazza via la teoria del complotto: che qualcuno su questo scandalo ci marci, anche amplificandolo e strumentalizzandolo, è un fatto; ma che all’interno del clero sia accaduto qualcosa di molto grave, è il fatto.
«Sono lieto per quel che ha detto Benedetto XVI», dice lo scrittore Antonio Socci, che al tema di Fatima ha dedicato molti scritti: «È il papa della verità, ci sta insegnando che non bisogna avere paura della verità. Sbaglia chi crede di combattere per Dio con la menzogna: Dio non ha bisogno delle nostre menzogne». Socci, poi, non è sorpreso dal sapere che lo scandalo della pedofilia è parte del terzo segreto: lo aveva già scritto il 2 aprile scorso su Libero («Il calvario del Papa predetto a Fatima») e poi su Panorama. «Ratzinger - spiega - ieri ha detto chiaramente che le sofferenze del Papa non si sono esaurite con l’attentato a Wojtyla, ma continuano e continueranno nel futuro».
È della stessa idea padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria: «Il terzo segreto di Fatima, e anche i messaggi di Medjugorje, annunciano una via crucis della Chiesa che ha al centro il papa e che riguarda anche il domani: credere che tutto si fosse esaurito con l’attentato a Wojtyla fu una prospettiva ristretta». Continua: «L’attacco alla Chiesa è su due versanti. Dall’esterno con persecuzioni e seduzioni. Dall’interno con i tradimenti: e questo è il versante più pericoloso».
Sulla gestione dei casi di pedofilia, dice padre Livio, si è indubbiamente sbagliato: «Nel Codice di diritto canonico erano già previste sanzioni severissime, come la riduzione allo stato laicale, ma queste norme spesso non sono state applicate perché è prevalsa la prassi di cercare di coprire per recuperare il sacerdote che aveva sbagliato. E i bambini, dico io? Adesso si è aggiunto l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria civile, e per me questo è giustissimo». Ma attenzione, dice padre Livio: «Nei peccati interni alla Chiesa non c’è solo la pedofilia. C’è anche la tentazione di diffondere un pensiero non più cattolico». Un rischio di cui aveva già parlato un altro papa: Paolo VI.
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